V

Conclusione

Durante tutto il lavoro abbiamo avuto la riprova continua della nostra tesi che, partendo dalla affermazione di un nuovo Leopardi spiritualmente invigorito e fatto ancor piú cosciente del proprio mondo interiore fino a sentire il bisogno di spiegarlo e prospettarlo come necessaria e universale salvezza dell’umanità, trovava, non in dipendenza deterministica, ma in intima relazione, come espressione di questo nuovo mondo leopardiano, una nuova poesia, talmente individuata da giustificare la denominazione da noi data ai canti di questo periodo di “nuovi canti”.

Questa nuova poesia consiste per noi in una forma “personale” e cioè in una forma vigorosa, eroica, quale è la nuova personalità del poeta che in essa trova la sua piú pura, completa espressione. In essa batte potentemente il passo del nuovo impeto spirituale leopardiano, in essa sentiamo una virilità piú certa e matura che non nelle precedenti poesie.

Il carattere fondamentale, distintivo di questa forma è appunto l’energia, la tenacia con cui vi si esprime il piú profondo animo del poeta.

Questi, nel suo nuovo atteggiamento, è tutto nell’affermazione vigorosa di se stesso, delle proprie convinzioni, del presente, sentito come una conquista di fronte al passato che viene ricordato senza nostalgia, ma anzi come un gradino inferiore nella sua ascesa spirituale, e nella negazione eroica di ciò che gli si oppone: umanità sciocca, destino arcano, natura insuperabile. Senza che egli se ne renda ragione teoricamente (ché anzi teoricamente ancora sente le illusioni come tali) il reale diventa ora l’illusorio, e l’ideale, ciò che non ha saldezza empirica diventa il reale. Perciò questa poesia si può chiamare poesia del presente, poesia eroica e religiosa insieme, e perciò si può caratterizzare negativamente come diversa e tendenzialmente opposta a quella precedente dei grandi idilli, in cui il contrasto fra passato e presente si risolveva a favore del primo e tutto il tono fondamentale era quello della ricordanza, della lontananza, del vago, del nostalgico.

E la novità di questa poesia non sta tanto nell’affermazione o nella negazione in sé, nelle convinzioni che il Leopardi enuncia nelle sue poesie, quanto proprio nella forza con cui afferma e nega, nell’impeto con cui prospetta in primo piano se stesso e il proprio ideale, con cui colpisce ciò che lo disturba e lo ostacola. C’è uguale vigore d’eternità del se stesso preda dell’amore e nell’espressione della propria convinzione di dignità umana, sociale. Cosí noi, per comprendere la nuova poesia leopardiana, dobbiamo sentirne il carattere energico, eroico, che si mantiene dal Pensiero dominante alla Ginestra. È un carattere che possiamo dire anche romantico e spiegheremo cosí ancor piú la novità di questa poesia che è piú intimamente romantica della precedente, quando si intenda per romantico non tanto un atteggiamento di vago sogno, di forse e di chissà (le domande del pastore errante), quanto un’ansia religiosa di assoluto, un’impetuosità che vuole nuove costruzioni, un estremo semplicismo che non accetta nulla di già fermato, un individualismo, nel senso piú ampio della parola, che sfocerà poi nel superomismo nietzschano. Senza voler proporre una nuova accezione della parola romanticismo, credo che bisogni invece nel caso del nuovo Leopardi battere proprio sul significato storico del romanticismo, quale si venne formando nella prima metà dell’Ottocento. Il tentativo di erezione del proprio io su tutto il resto della vita e successivamente, ma non piú fiaccamente, quello di erigere la propria legge individuale a legge universale, la propria personalità a modello di dignità virile e a cardine di una nuova società, la richiesta finalmente chiara e sicura di una vera vita spirituale e non comoda, non di compromesso, sono indizi di pretto romanticismo, quali non si erano avuti cosí nettamente nel precedente Leopardi.

Questo carattere di romanticismo è cosí intimo alla nuova poesia leopardiana che cercando piú largamente di spiegare le qualità formali di questa, ne dovremo anche sempre piú sentire la vera, essenziale natura romantica.

La nuova forma è, per il suo carattere vigorosamente personale, piú erompente che fluida, piú rilevata che tenuta in un’atmosfera di sogno. Soprattutto essa, in coerenza con il valore dato dal poeta alla posizione personale e al contrasto con ciò che gli si oppone, tende piú all’impeto, allo slancio che non all’equilibrio, all’armonia delle parti. C’è naturalmente in questa forma uno squilibrio fra i pigli piú energici e personali e le parti piú di tessuto, di connessione, ma ciò non avviene per mancanza di potenza poetica, per deficienza ad armonizzare i componimenti, quanto proprio per una tendenza romantica che rifugge dal concluso, dall’armonico e va verso una libertà sempre maggiore, verso forme allungate, slanciate, in cui piú che l’armonia hanno valore i pigli, le mosse musicali. Tutte le poesie del nuovo periodo realizzano, in questo senso, un’esperienza originalissima e senza precedenti: dalla spezzatura dell’A se stesso alle forme amplissime della Ginestra.

Naturalmente il gusto del particolare della scenetta scompare di fronte alle nuove esigenze piú decisamente spirituali del poeta e, dove sopravvive, è sentito funzionalmente, subordinatamente con un senso tutto diverso da quello con cui era usato nell’idillio. Nella forma nuova è naturalmente implicito (ché forma e linguaggio sono tutt’uno e non possono distinguersi se non a scopo esplicativo) un nuovo linguaggio vigorosissimo, fatto di parole efficacissime, pugnaci, non sfumate, sognanti, di mosse adatte alla nuova musicalità meno armonica e piú sinfonica.

Nelle analisi dei nuovi canti completamente realizzati abbiamo appunto potuto vedere provati, in una linea continua e sicura nelle diverse situazioni sentimentali del poeta ed oltre le apparenti diversità, i caratteri della nuova forma. Abbiamo visto nelle speciali caratteristiche permanere l’unico tono fondamentale che è sempre quello di una personalità vigorosamente prepotente sia nell’affermazione del pensiero d’amore, sia nell’invocazione della morte, sia nel distacco di reale e ideale, sia nel disprezzo di tutto l’altro da sé, sia nella proposizione di sé come modello agli uomini. Abbiamo visto come tante apparenti durezze, tante apparenti prosaicità siano giustificate quando si riportino all’accento che le vivifica e come sia poco critico entrare in questa poesia con un’analisi sceverante meticolosamente poesia e non poesia, ragionativo, volitivo e puramente poetico. È proprio di questa poesia la raggiunta unificazione dell’anima leopardiana, in un’espressione in cui attività estetica e attività ragionativa siano radicalmente, intimamente fuse.

Dalle analisi delle poesie meno riuscite abbiamo invece ricavato che, là dove l’ispirazione personale manca, la poesia cade e ne restano i caratteri piú esteriori. Sono poesie piú fiacche, e non perché siano frutto di un’altra ispirazione, quanto perché l’ispirazione fondamentale della nuova poesia vi è debole, in tregua. E proprio come poesia di tregua, di pausa o di preparazione abbiamo considerato quei componimenti che pure hanno tante bellezze particolari e tanta generale finezza di gusto.

Riprove sicure della finezza del gusto dell’ultimo Leopardi ci furono poi le correzioni dell’edizione napoletana del ’35, fatte quando il poeta si preparava all’ultimo suo grande canto. Sono correzioni fatte secondo un acutissimo senso della musicalità e con una potenza poetica tale da trasfigurare intere parti di poesie passate. Dimostrano come il Leopardi sapesse risentire certi momenti passati secondo la loro ispirazione piú genuina, farli risorgere in sé e realizzare colla sua nuova bravura ciò che una volta non aveva potuto realizzare: e ciò senza paura di anacronismi e, d’altronde, senza sforzo di riatteggiare tutta l’opera passata secondo le proprie presenti esigenze.

E dimostrano che un poeta capace di far nascere (sia pur correggendo) delle descrizioni purissime come quella dell’inizio della Sera del dí di festa, se poi lascia in ombra ogni descrizione d’immagine, lo fa non per aridità, per impotenza fantastica, ma per intimo mutamento di esigenze estetiche.

Nello studio della nuova poesia leopardiana molte sono le difficoltà da vincere per enucleare il suo accento fondamentale e per arrivare quindi ad una valutazione concreta esteticamente.

L’immediata vicinanza dei grandi idilli contribuisce poi anch’essa a disorientare, per la grande differenza che mostra con la poesia dei nuovi canti, la critica che si è tenuta cosí, in generale, lontana da una vera comprensione dell’ultimo periodo della lirica leopardiana.